San Lazzaro degli Armeni
Spesso sento dire che Venezia è solo una “carnevalata” un po’ barocca o, nel migliore dei casi, un affollato luna park per stranieri. Invece, uscendo appena un po’ dai soliti circuiti turistici, si possono scoprire delle perle rare incastonate tra la laguna, piccole oasi di pace in cui rilassarsi o posti carichi di storia e fascino da scoprire, lontani dal chiasso di San Marco.
Una di queste è l’isola di San Lazzaro degli Armeni, interamente occupata dal monastero della Congregazione Armena Mechitarista e dai suoi rigogliosi giardini, considerata una piccola Armenia in seno all’Occidente.
Siamo arrivati sull’isola, prendendo il vaporetto n°20 a San Zaccaria alle 15.10, in tempo per l’unica visita guidata che si tiene alle 15.25: già sul pontile si percepiva come l’atmosfera fosse completamente diversa rispetto a quella che ci eravamo lasciati alle spalle, di come tutto, dal giardino d’ingresso ai roseti, fosse curato e raccolto. Ad aspettarci una gentilissima guida che, con passione e preparazione, ci ha accompagnato nelle varie zone del monastero, introducendo la straordinaria cultura del popolo armeno e la singolare storia del convento. Inizialmente sede dei monaci benedettini, nei secoli successivi divenne un lazzaretto e un rifugio per i poveri; ai primi del ‘700 il senato della Serenissima assegnò l’isola all’abate Mechitar, fondatore della comunità mechitarista a Istanbul e ai suoi monaci in fuga dai turchi, che cominciò i restauri dell’antica chiesa e fondò il monastero.
Lo scopo di Mechitar, che ancora oggi si avverte chiaramente nell’opera della congregazione, era rendere l’isola il centro propulsore della cultura e della tradizione armena e un luogo d’arte e scienza: oltre ad una tipografia poliglotta non più in uso, Il convento ospita una pinacoteca, un museo e una stamperia di fine XVIII secolo, dove sono conservati migliaia di volumi e manoscritti armeni, molti manufatti arabi ed indiani e reperti archeologici egiziani, tutti lasciti di personalità armene nel mondo. Ovviamente irrinunciabile, specie per gli appassionati di egittologia, la mummia di Nehmeket unica nel suo genere e considerata tra le meglio conservate in assoluto (all’interno di alcune stanze è vietato fotografare, quindi non vi guasterò la sorpresa) anche se la cosa che mi ha stupita più di tutte è stata la cosiddetta Palla di Canton, costituita da 15 sfere identiche e concentriche, contenute l’una nell’altra. Le sfere tutte incredibilmente scolpite a partire dallo stesso blocco d’avorio traforato da un monaco buddista, raffigurano i momenti più significativi della vita di Buddha.
Un paio di chicche per gli appassionati di turismo letterario e cucina come me:
- Lord Byron fu ospitato per diverso tempo nel monastero, dove si dedicò allo studio dell’armeno e alla stesura del primo dizionario armeno-inglese
- uscendo, prima di prendere il traghetto delle 17.25 che vi porterà indietro, fermatevi al bookshop e acquistate la vartanush, marmellata ricavata dai petali delle rose coltivate dai monaci: è deliziosa sul plumcake allo yogurt, provare per credere!